Fra' Vincenzo d'Elpidio

il poverello di Colli

di Antonio Bini

Fra’ Vincenzo Sabatino d’Elpidio, per tutti fra’ Vincenzo, era stato amico in vita di padre Domenico da Cese e lo fu ancor più dopo la sua morte instancabile sostenitore della sua causa di canonizzazione.

La Storia

Fra’ Vincenzo Sabatino D’Elpidio, nato a Guardia Vomano (Te) il 16 febbraio 1932, era entrato nel 1952 nell’Ordine dei Cappuccini, nel convento di Sulmona. Avendo frequentato soltanto la scuola elementare, non gli fu permesso di accedere al percorso formativo che portasse al sacerdozio, come era suo forte desiderio.
Decise di mantenere comunque la sua scelta religiosa.  Dopo nove mesi fu assegnato al convento di Penne, dove l’11 febbraio 1953 vestì il saio di novizio, con successiva professione semplice il 13 febbraio 1954

Nell’anno 1960 venne trasferito al Convento della Madonna dei Sette Dolori di Pescara dove per tanti anni ha svolto – come lui stesso ha affermato – compiti di questuante, cuciniere, ortolano, cantiniere, sacrestano, ecc.

Tante le attività che lo impegnavano quotidianamente, senza pause, dalla mattina alla sera, per le molteplici esigenze del convento, che al tempo accoglieva molti novizi da sfamare. Essere frate cercatore, itinerante tra campagne e paesi del circondario, per l’acquisizione di mezzi per far fronte alle necessità del noviziato lo aveva reso in pochi anni molto popolare tra masse di persone umili e famiglie.

Un frate semplice, con il sorriso sulle labbra e dall’innata simpatia, sempre disponibile ad offrire una parola di conforto, entrava nelle case accolto con amicizia, portando sempre “Pace e bene”. Un gigante buono che era l’immagine della bontà. Quando nelle famiglie che incontrava gli venivano manifestati dei problemi, era sempre disponibile per affrontarli, dando i suoi saggi consigli, cercando anche di aiutarle materialmente, se necessario. Donava ai più bisognosi le elemosine che riceveva, vivendo sempre nella povertà.

Dal 1960 in poi, ha visto crescere intorno al convento, situato sui Colli di Pescara, allora in piena campagna, una città, con nuove strade e palazzi, con l’arrivo di tanti nuovi abitanti. Fra’ Vincenzo rimaneva un elemento di continuità, un positivo riferimento familiare per migliaia di persone, sempre umile e pronto a confortare e a dare fiducia, invitando alla fede e alla preghiera.
Tra i suoi meriti aver dissuaso con la sua parola di speranza diverse donne dalla decisione di abortire, spronandole ad accettare la vita, aiutandole negli anni successivi e seguendo, quando necessario, anche la crescita dei loro figli.

Una sorte di padre per tanti bambini che senza il suo provvidenziale intervento non sarebbero mai nati. Una missione emersa pubblicamente quando gli fu conferito il premio “Uomini socialmente utili” (Teatro Massimo di Pescara, 13 novembre 2008), probabilmente auspicato da parte di alcuni di quei bambini diventati ormai grandi.

L’amicizia con padre Domenico era profonda e vissuta con semplicità francescana e reciproca stima. Lo stesso fra’ Vincenzo era molto legato al Volto Santo di Manoppello

Un evento significativo avvenne nel 1988, a distanza di dieci anni dalla morte di p. Domenico. Una notte fra’ Vincenzo sentì una voce forte: “Qui ci vuole fra’ Vincenzo”. Riconobbe subito la voce possente di p. Domenico che proveniva da una stanza vicina. Nel sogno, oggetto di una sua testimonianza, vide padre Domenico che si trovava in una pozza di fango e d’acqua. Da solo non riusciva a rialzarsi. Intorno a padre Domenico c’erano dei frati che lo guardavano senza dargli aiuto. Appena vide p. Domenico a terra, fra’ Vincenzo lo abbracciò e lo aiutò a rimettersi in piedi. Nel frattempo i frati erano scomparsi. P. Domenico si ricolse a lui implorandolo: “Le messe, le messe!”

Fra’ Vincenzo intuì che le preoccupazioni del confratello era riferibili alla mancata celebrazione di messe richieste da suoi devoti che le richiedevano tramite lettere, alle quali univano offerte. Si recò nel convento di Manoppello dove chiese al superiore se c’era corrispondenza diretta a padre Domenico. In una stanza c’erano due scatoloni pieni di lettere, ancora chiuse, tra cui molte con offerte per la celebrazione di messe. Lasciò i denari al superiore, al quale chiese di poter visionare le lettere. Si poi rivolse ad un sacerdote di Montesilvano Colli, al quale fece un’offerta, chiedendogli di celebrare dieci messe secondo le intenzioni delle persone che si erano rivolte a p. Domenico.

Dalla lettura di quelle lettere iniziò una raccolta di testimonianze e di indirizzi che avrebbe impegnato fra’ Vincenzo negli anni a venire, con crescenti contatti con figli spirituali e devoti di p. Domenico, le associazioni del Volto Santo di Ruvo di Puglia e la comunità di Andria, sorte nel solco spirituale lasciato da suor Amalia Di Rella, che pure aveva conosciuto negli anni precedenti.

Divenne organizzatore di incontri e favorì la pubblicazione di monografie, raccolte di testimonianze e articoli sulla fama di santità di p. Domenico. Raccolse con grande pazienza le firme dei frati della provincia dei Cappuccini d’Abruzzo favorevoli all’avvio della causa di beatificazione e canonizzazione. Non era cosa scontata, ma quasi tutti firmarono e finalmente l’Ordine propose all’arcivescovo di Chieti-Vasto l’avvio dell’iter. 

Molti devoti videro in lui parte dei carismi propri di p. Domenico e tanti ricorrevano a lui per un consiglio, una parola di conforto. In proposito, occorre ricordare che nel 1979 l’allora arcivescovo di Pescara mons. Antonio Iannucci, gli diede la facoltà di ministro straordinario dell’eucarestia e di benedire.  Le sue benedizioni erano molto particolari. Imponeva le mani sulla testa e poi abbracciava a lungo le persone, liberandole da ansie e preoccupazioni, lenendo le loro sofferenze e favorendone la via della fede.

Questi incontri avvenivano soprattutto il sabato e la domenica, fino a sera, in una sala attigua alla Basilica, davanti a tante persone che attendevano pazientemente che venisse il proprio turno, in modo che non potessero sorgere equivoci. L’ho visto abbracciare anche interi nuclei familiari. Negli ultimi anni, trascorreva più tempo nella sua camera dove tutti i giorni riceveva tantissime telefonate da varie parti d’Italia e anche dall’estero per ricevere parole di conforto e una sua benedizione. Erano in molti a scrivergli, non solo persone semplici, ma anche professionisti e imprenditori, e davanti al suo tavolino aveva tante fotografie di persone per cui pregava. Tra le immagini presenti in quella affollata bacheca, quella di don Tonino Bello e quella di p. Domenico in bilocazione a San Giovanni Rotondo, durante i funerali di P. Pio.

Lo avevo conosciuto nel 2001 o 2002, quando sentii la necessità di studiare la figura di p. Domenico e il suo misterioso rapporto con p. Pio da Pietrelcina. Fra’ Vincenzo mi confermò quando era stato scritto da Bruno Sammaciccia nella sua prima biografia, dicendomi che lui stesso doveva al santo di Pietrelcina la scelta della vita religiosa e la decisione di rimanere a Pescara. Nei miei confronti avvertiva un affetto paterno e di stima, contento per quanto scrivevo del Volto Santo e di p. Domenico.

Un rapporto proseguito negli anni. Ci incontravamo spesso e frequenti erano le sue telefonate. E se qualche volta manifestavo delusione per la lentezza dell’iter per l’avvio della causa di beatificazione era sempre pronto nell’incoraggiarmi a non desistere e ad andare avanti.

Nel febbraio 2020 mi chiamò per parlarmi. In una caduta, aveva riportato la frattura della spalla destra di cui peraltro non si lamentava. Non essendo in grado di scrivere mi chiese di aiutarlo a raccogliere le sue volontà per un suo saluto a confratelli e devoti, sentendo prossima la sua morte. Lo ascoltai con attenzione, registrando le sue intenzioni, per poi trascrivere il testo. Mi chiese poi di stampare due copie che avrebbe sottoscritto, una da lasciare al superiore e l’altra per me, affinché ne dessi divulgazione post-mortem.

Nella sua lettera ricordò con riconoscenza San Padre Pio e P. Domenico, del quale, ultimo, scrisse “Nel corso degli anni ho seguito l’insegnamento di vari confratelli e in particolare del Servo di Dio p. Domenico da Cese, del Santuario del Volto Santo. Per me è stato uno straordinario esempio di dedizione alla Chiesa e di instancabile attenzione al prossimo, che accoglieva dalla mattina alla sera, ascoltava, confortava ed invitava alla preghiera e a vivere nella fede del Signore. L’ho sentito vicino negli anni successivi alla sua morte e diverse persone che furono suoi figli spirituali hanno ritenuto di intravedere in me qualcosa della Sua figura, anche sotto l’aspetto fisico. Ma io sono soltanto un povero frate, non degno di essere paragonato al Servo di Dio”.

Fra’ Vincenzo è deceduto il 15 dicembre 2020, dopo una breve malattia. Per dedicarsi agli altri aveva trascurato se stesso. Commoventi i suoi funerali, con centinaia di persone che hanno sfidato la pandemia pur di essere presenti, in un periodo di forti limitazioni. Erano in tanti alle esequie, celebrate all’esterno del Santuario della Madonna dei Sette Dolori, ad ascoltare le sue ultime volontà nella commozione generale.

Nel corso dell’omelia, il ministro della nuova Provincia dei cappuccini d’Abruzzo, Lazio e Umbria, p. Matteo Siro, nel suo commosso ricordo, ha sottolineato come fra’ Vincenzo nella sua vita avesse “reso incontrabile Gesù e il suo vangelo”. Una felice ed efficace sintesi della figura dell’umile cappuccino, gigante della fede ed esemplare modello di vita francescana.